XXIV
ORIGINE
DI QUESTA USANZA
Sono alcuni li quali
credono, percioché sanno Danne amata da Febo e in lauro convertita,
essendo Febo e il primo autore e fautore de’ poeti stato e similmente
triunfatore, per amore a quelle frondi portato, di quelle le sue
cetere e i triunfi aver coronati; e quinci essere stato preso esempio
dagli uomini, e per conseguente essere quello, che da Febo fu prima
fatto, cagione di tale coronazione e di tai frondi infino a questo
giorno a’ poeti e agl’imperadori. E certo tale opinione non mi
spiace, né nego cosí poter essere stato; ma tuttavia me muove altra
ragione, la quale è questa. Secondo che vogliono coloro, li quali le
virtú delle piante ovvero la loro natura investigarono, il lauro tra
l’altre piú sue proprietá n’ha tre laudevoli e notevoli molto: la
prima si è, come noi veggiamo, che mai egli non perde né verdezza,
né fronda; la seconda si è, che non si truova questo albore mai
essere stato fulminato, il che di niuno altro leggiamo essere
avvenuto; la terza, che egli è odorifero molto, sí come noi
sentiamo: le quali tre proprietá estimarono gli antichi inventori di
questo onore convenirsi con le virtuose opere de’ poeti e de’
vittoriosi imperadori. E primieramente la perpetua viriditá di
queste frondi dissono dimostrare la fama delle costoro opere, cioè
di coloro che d’esse si coronavano o coronerebbono nel futuro, sempre
dovere stare in vita. Appresso estimarono l’opere di questi cotali
essere di tanta potenzia, che né il fuoco della invidia, né la
folgore della lunghezza del tempo, la quale ogni cosa consuma,
dovesse mai queste potere fulminare, se non come quello albero
fulminava la celeste folgore. E oltre a questo diceano queste opere
de’ giá detti per lunghezza di tempo mai dover divenire meno
piacevoli e graziose a chi l’udisse o le leggesse, ma sempre dovere
essere accettevoli e odorose. Laonde meritamente si confaceva la
corona di cotai frondi, piú ch’altra, a cotali uomini, gli cui
effetti, in tanto quanto vedere possiamo, erano a lei conformi. Per
che non senza cagione il nostro Dante era ardentissimo disideratore
di tale onore ovvero di cotale testimonia di tanta vertú, quale
questa è a coloro, li quali degni si fanno di doversene ornare le
tempie. Ma tempo è di tornare lá onde, intrando in questo, ci
dipartimmo.