III
SUOI
STUDI
Nacque questo singulare
splendore italico nella nostra cittá, vacante il romano imperio per
la morte di Federigo giá detto, negli anni della salutifera
incarnazione del Re dell’universo MCCLXV, sedente Urbano papa quarto
nella cattedra di san Piero, ricevuto nella paterna casa da assai
lieta fortuna: lieta, dico, secondo la qualitá del mondo che allora
correa. Ma, quale che ella si fosse, lasciando stare il ragionare
della sua infanzia, nella quale assai segni apparirono della futura
gloria del suo ingegno, dico che dal principio della sua puerizia,
avendo giá li primi elementi delle lettere impresi, non, secondo il
costume de’ nobili odierni, si diede alle fanciullesche lascivie e
agli ozi, nel grembo della madre impigrendo, ma nella propia patria
tutta la sua puerizia con istudio continuo diede alle liberali arti,
e in quelle mirabilmente divenne esperto. E crescendo insieme con gli
anni l’animo e lo ‘ngegno, non a’ lucrativi studi, alli quali
generalmente oggi corre ciascuno, si dispose, ma da una laudevole
vaghezza di perpetua fama [tratto], sprezzando le transitorie
ricchezze, liberamente si diede a volere aver piena notizia delle
fizioni poetiche e dell’artificioso dimostramento di quelle. Nel
quale esercizio familiarissimo divenne di Virgilio, d’Orazio,
d’Ovidio, di Stazio e di ciascun altro poeta famoso; non solamente
avendo caro il conoscergli, ma ancora, altamente cantando, s’ingegnò
d’imitarli, come le sue opere mostrano, delle quali appresso a suo
tempo favelleremo. E, avvedendosi le poetiche opere non essere vane o
semplici favole o maraviglie, come molti stolti estimano, ma sotto sé
dolcissimi frutti di veritá istoriografe o filosofiche avere
nascosti; per la quale cosa pienamente, sanza le istorie e la morale
e naturale filosofia, le poetiche intenzioni avere non si potevano
intere; partendo i tempi debitamente, le istorie da sé, e la
filosofia sotto diversi dottori s’argomentò, non sanza lungo studio
e affanno, d’intendere. E, preso dalla dolcezza del conoscere il vero
delle cose racchiuse dal cielo, niuna altra piú cara che questa
trovandone in questa vita, lasciando del tutto ogni altra temporale
sollecitudine, tutto a questa sola si diede. E, accioché niuna parte
di filosofia non veduta da lui rimanesse, nelle profonditá altissime
della teologia con acuto ingegno si mise. Né fu dalla intenzione
l’effetto lontano, percioché, non curando né caldi né freddi,
vigilie né digiuni, né alcun altro corporale disagio, con assiduo
studio pervenne a conoscere della divina essenzia e dell’altre
separate intelligenzie quello che per umano ingegno qui se ne può
comprendere. E cosí come in varie etadi varie scienze furono da lui
conosciute studiando, cosí in vari studi sotto vari dottori le
comprese.
Egli li primi inizi, sí
come di sopra è dichiarato, prese nella propia patria, e di quella,
sí come a luogo piú fertile di tal cibo, n’andò a Bologna; e giá
vicino alla sua vecchiezza n’andò a Parigi, dove, con tanta gloria
di sé, disputando, piú volte mostrò l’altezza del suo ingegno, che
ancora, narrandosi, se ne maravigliano gli uditori. E di tanti e sí
fatti studi non ingiustamente meritò altissimi titoli: percioché
alcuni il chiamarono sempre «poeta», altri «filosofo» e molti
«teologo», mentre visse. Ma, percioché tanto è la vittoria piú
gloriosa al vincitore, quanto le forze del vinto sono state maggiori,
giudico esser convenevole dimostrare, di come fluttuoso e tempestoso
mare costui, gittato ora in qua ora in lá, vincendo l’onde parimente
e’ venti contrari, pervenisse al salutevole porto de’ chiarissimi
titoli giá narrati.