V. AMORE PER BEATRICE

V

AMORE
PER BEATRICE

Nel tempo nel quale la
dolcezza del cielo riveste de’ suoi ornamenti la terra, e tutta per
la varietá de’ fiori mescolati fra le verdi frondi la fa ridente,
era usanza della nostra cittá, e degli uomini e delle donne, nelle
loro contrade ciascuno in distinte compagnie festeggiare; per la qual
cosa, infra gli altri per avventura, Folco Portinari, uomo assai
orrevole in que’ tempi tra’ cittadini, il primo dí di maggio aveva i
circustanti vicini raccolti nella propia casa a festeggiare, infra li
quali era il giá nominato Alighieri. Al quale, come i fanciulli
piccoli, e spezialmente a’ luoghi festevoli, sogliono li padri
seguire, Dante, il cui nono anno non era ancora finito, seguito avea;
e quivi mescolato tra gli altri della sua etá, de’ quali cosí
maschi come femmine erano molti nella casa del festeggiante, servite
le prime mense, di ciò che la sua picciola etá poteva operare,
puerilmente si diede con gli altri a trastullare. Era intra la turba
de’ giovinetti una figliuola del sopradetto Folco, il cui nome era
Bice, comeché egli sempre dal suo primitivo, cioè Beatrice, la
nominasse, la cui etá era forse d’otto anni, leggiadretta assai
secondo la sua fanciullezza, e ne’ suoi atti gentilesca e piacevole
molto, con costumi e con parole assai piú gravi e modeste che il suo
picciolo tempo non richiedea; e, oltre a questo, aveva le fattezze
del viso dilicate molto e ottimamente disposte, e piene, oltre alla
bellezza, di tanta onesta vaghezza, che quasi una angioletta era
reputata da molti. Costei adunque, tale quale io la disegno, o forse
assai piú bella, apparve in questa festa, non credo primamente, ma
prima possente ad innamorare, agli occhi del nostro Dante: il quale,
ancoraché fanciul fosse, con tanta affezione la bella imagine di lei
ricevette nel cuore, che da quel giorno innanzi, mai, mentre visse,
non se ne dipartí. Quale ora questa si fosse, niuno il sa; ma, o
conformitá di complessioni o di costumi o speziale influenzia del
cielo che in ciò operasse, o, sí come noi per esperienza veggiamo
nelle feste, per la dolcezza de’ suoni, per la generale allegrezza,
per la dilicatezza de’ cibi e de’ vini, gli animi eziandio degli
uomini maturi, non che de’ giovinetti, ampliarsi e divenire atti a
poter essere leggiermente presi da qualunque cosa che piace; è certo
questo esserne divenuto, cioè Dante nella sua pargoletta etá fatto
d’amore ferventissimo servidore. Ma, lasciando stare il ragionare de’
puerili accidenti, dico che con l’etá multiplicarono l’amorose
fiamme, in tanto che niun’altra cosa gli era piacere o riposo o
conforto, se non il vedere costei. Per la qual cosa, ogni altro
affare lasciandone, sollecitissimo andava lá dovunque credeva potere
vederla, quasi del viso o degli occhi di lei dovesse attignere ogni
suo bene e intera consolazione. Oh insensato giudicio degli amanti!
chi altri che essi estimerebbe per aggiugnimento di stipa fare le
fiamme minori? Quanti e quali fossero li pensieri, li sospiri, le
lagrime e l’altre passioni gravissime poi in piú provetta etá da
lui sostenute per questo amore, egli medesimo in parte il dimostra
nella sua Vita nova, e però piú distesamente non curo di
raccontarle. Tanto solamente non voglio che non detto trapassi, cioè
che, secondo che egli scrive e che per altrui, a cui fu noto il suo
disio, si ragiona, onestissimo fu questo amore, né mai apparve, o
per isguardo o per parola o per cenno, alcuno libidinoso appetito né
nello amante né nella cosa amata: non picciola maraviglia al mondo
presente, del quale è sí fuggito ogni onesto piacere, e abituatosi
l’avere prima la cosa che piace conformata alla sua lascivia che
diliberato d’amarla, che in miracolo è divenuto, sí come cosa
rarissima, chi amasse altramente. Se tanto amore e sí lungo poté il
cibo, i sonni e ciascun’altra quiete impedire, quanto si dee potere
estimare lui essere stato avversario agli sacri studi e allo ‘ngegno?
Certo, non poco; comeché molti vogliano lui essere stato incitatore
di quello, argomento a ciò prendendo dalle cose leggiadramente nel
fiorentino idioma e in rima, in laude della donna amata, e accioché
li suoi ardori e amorosi concetti esprimesse, giá fatte da lui; ma
certo io nol consento, se io non volessi giá affermare l’ornato
parlare essere sommissima parte d’ogni scienza; che non è vero.