XIII.
SUA PERSEVERANZA AL LAVORO
Non poterono gli amorosi disiri, né le dolenti lagrime, né la sollecitudine casalinga, né la lusinghevole gloria de’ publici ofici, né il miserabile esilio, né la intollerabile povertá giammai con le lor forze rimuovere il nostro Dante dal principale intento, cioè da’ sacri studi; percioché, sí come si vederá dove appresso partitamente dell’opere da lui fatte si fará menzione, egli, nel mezzo di qualunque fu piú fiera delle passioni sopradette, si troverá componendo essersi esercitato. E se, obstanti cotanti e cosí fatti avversari, quanti e quali di sopra sono stati mostrati, egli per forza d’ingegno e di perseveranza riuscí chiaro qual noi veggiamo; che si può sperare ch’esso fosse divenuto, avendo avuti altrettanti aiutatori, o almeno niuno contrario, o pochissimi, come hanno molti? Certo, io non so; ma se licito fosse a dire, io direi ch’egli fosse in terra divenuto uno iddio.