XXV
CARATTERE
DI DANTE
Fu il nostro poeta,
oltre alle cose predette, d’animo alto e disdegnoso molto; tanto che,
cercandosi per alcun suo amico, il quale ad istanzia de’ suoi prieghi
il facea, che egli potesse ritornare in Fiorenza, il che egli oltre
ad ogni altra cosa sommamente disiderava, né trovandosi a ciò alcun
modo con coloro li quali il governo della republica allora aveano
nelle mani, se non uno, il quale era questo: che egli per certo
spazio stesse in prigione, e dopo quello in alcuna solennitá publica
fosse misericordievolmente alla nostra principale ecclesia offerto, e
per conseguente libero e fuori d’ogni condennagione per adietro fatta
di lui; la qual cosa parendogli convenirsi e usarsi in qualunque e
depressi e infami uomini, e non in altri: per che oltre al suo
maggiore disiderio, preelesse di stare in esilio, anzi che per cotal
via tornare in casa sua. Oh isdegno laudevole di magnanimo, quanto
virilmente operasti, reprimendo l’ardente disio del ritornare per via
meno che degna ad uomo nel grembo della filosofia nutricato!
Molto simigliantemente
presunse di sé, né gli parve meno valere, secondo che li suoi
contemporanei rapportano, che el valesse; la qual cosa, tra l’altre
volte, apparve una notabilmente, mentre ch’egli era con la sua setta
nel colmo del reggimento della republica. Che, conciofossecosaché
per coloro li quali erano depressi fosse chiamato, mediante Bonifazio papa ottavo, a ridirizzare lo stato della nostra cittá, un fratello
ovvero congiunto di Filippo allora re di Francia, il cui nome fu
Carlo; si ragunarono a uno consiglio per provedere a questo fatto
tutti li prencipi della setta, con la quale esso tenea; e quivi tra
l’altre cose providero, che ambasceria si dovesse mandare al papa, il
quale allora era a Roma, per la quale s’inducesse il detto papa a
dovere ostare alla venuta del detto Carlo, ovvero lui, con concordia
della setta, la quale reggeva, far venire. E venuto al diliberare chi
dovesse esser prencipe di cotale legazione, fu per tutti detto che
Dante fosse desso. Alla quale richiesta Dante, alquanto sopra a sé
stato, disse: – Se io vo, chi rimane? se io rimango, chi va?, – quasi
esso solo fosse colui che tra tutti valesse, e per cui tutti gli
altri valessero. Questa parola fu intesa e raccolta, ma quello che di
ciò seguisse non fa al presente proposito, e però, passando avanti,
il lascio stare.
Oltre a queste cose, fu
questo valente uomo in tutte le sue avversitá fortissimo: solo in
una cosa non so se io mi dica fu impaziente o animoso, cioè in opera
pertenente a parte, poi che in esilio fu, troppo piú che alla sua
sufficienzia non appartenea, e ch’egli non volea che di lui per
altrui si credesse. E accioché a qual parte fosse cosí animoso e
pertinace appaia, mi pare sia da procedere alquanto piú oltre
scrivendo.
Io credo che giusta ira
di Dio permettesse, giá è gran tempo, quasi tutta Toscana e
Lombardia in due parti dividersi: delle quali, onde cotali nomi
s’avessero, non so; ma l’una si chiamò e chiama «parte guelfa», e
l’altra fu «ghibellina» chiamata. E di tanta efficacia e reverenzia
furono negli stolti animi di molti questi due nomi, che, per
difendere quello che alcuno avesse eletto per suo contra il
contrario, non gli era di perdere gli suoi beni e ultimamente la
vita, se bisogno fosse fatto, malagevole. E sotto questi titoli molte
volte le cittá italiche sostennero di gravissime pressure e
mutamenti; e intra l’altre la nostra cittá, quasi capo e dell’uno
nome e dell’altro, secondo il mutamento de’ cittadini; intanto che
gli maggiori di Dante per guelfi da’ ghibellini furono due volte
cacciati di casa loro, ed egli similemente, sotto il titolo di
guelfo, tenne i freni della republica in Firenze. Della quale
cacciato, come mostrato è, non da’ ghibellini ma da’ guelfi, e
veggendo sé non potere ritornare, in tanto mutò l’animo, che niuno
piú fiero ghibellino e a’ guelfi avversario fu come lui; e quello di
che io piú mi vergogno in servigio della sua memoria è che
publichissima cosa è in Romagna, lui ogni femminella, ogni piccol
fanciullo ragionante di parte e dannante la ghibellina, l’avrebbe a
tanta insania mosso, che a gittare le pietre l’avrebbe condotto, non
avendo taciuto. E con questa animositá si visse infino alla morte.
Certo, io mi vergogno
dovere con alcuno difetto maculare la fama di cotanto uomo; ma il
cominciato ordine delle cose in alcuna parte il richiede; percioché,
se nelle cose meno che laudevoli in lui, mi tacerò, io torrò molta
fede alle laudevoli giá mostrate. A lui medesimo adunque mi scuso,
il quale per avventura me scrivente con isdegnoso occhio d’alta parte
del cielo ragguarda.
Tra cotanta virtú, tra
cotanta scienzia, quanta dimostrato è di sopra essere stata in
questo mirifico poeta, trovò ampissimo luogo la lussuria, e non
solamente ne’ giovani anni, ma ancora ne’ maturi. Il quale vizio,
comeché naturale e comune e quasi necessario sia, nel vero non che
commendare, ma scusare non si può degnamente. Ma chi sará tra’
mortali giusto giudice a condennarlo? Non io. Oh poca fermezza, oh
bestiale appetito degli uomini, che cosa non possono le femmine in
noi, s’elle vogliono, che, eziandio non volendo, posson gran cose?
Esse hanno la vaghezza, la bellezza e il naturale appetito e altre
cose assai continuamente per loro ne’ cuori degli uomini procuranti;
e che questo sia vero, lasciamo stare quello che Giove per Europa, o
Ercule per Iole, o Paris per Elena facessero; che, percioché
poetiche cose sono, molti di poco sentimento le dirien favole; ma
mostrisi per le cose non convenevoli ad alcuno di negare. Era ancora
nel mondo piú che una femmina quando il nostro primo padre, lasciato
il comandamento fattogli dalla propia bocca di Dio, s’accostò alle
persuasioni di lei? Certo no. E David, non ostante che molte
n’avesse, solamente veduta Bersabé, per lei dimenticò Iddio, il suo
regno, sé e la sua onestá, e adultero prima e poi omicida divenne:
che si dee credere ch’egli avesse fatto, se ella alcuna cosa avesse
comandato? E Salomone, al cui senno niuno, dal figliuolo di Dio in
fuori, aggiunse mai, non abbandonò colui che savio l’aveva fatto, e
per piacere a una femmina s’inginocchiò e adorò Baalim? Che fece
Erode? che altri molti, da niuna altra cosa tirati che dal piacer
loro? Adunque tra tanti e tali non iscusato, ma, accusato con assai
meno curva fronte che solo, può passare il nostro poeta. E questo
basti al presente de’ suoi costumi piú notabili avere contato.