VII.
DIGRESSIONE
SUL MATRIMONIO.
Oh menti cieche, oh
tenebrosi intelletti, oh argomenti vani di molti mortali, quanto sono
le riuscite in assai cose contrarie a’ vostri avvisi, e non sanza
ragion le piú volte! Chi sarebbe colui che del dolce aere d’Italia,
per soperchio caldo, menasse alcuno nelle cocenti arene di Libia a
rinfrescarsi, o dell’isola di Cipri, per riscaldarsi, nelle eterne
ombre de’ monti Rodopei? qual medico s’ingegnerá di cacciare l’aguta
febbre col fuoco, o il freddo delle medolla dell’ossa col ghiaccio o
con la neve? Certo, niuno altro, se non colui che con nuova moglie
crederá l’amorose tribulazion mitigare. Non conoscono quegli, che
ciò credono fare, la natura d’amore, né quanto ogni altra passione
aggiunga alla sua. Invano si porgono aiuti o consigli alle sue forze,
se egli ha ferma radice presa nel cuore di colui che ha lungamente
amato. Cosí come ne’ princípi ogni picciola resistenza è
giovevole, cosí nel processo le grandi sogliono essere spesse volte
dannose. Ma da ritornare è al proposito, e da concedere al presente
che cose sieno, le quali per sé possano l’amorose fatiche fare
obliare.
Che avrá fatto però
chi, per trarmi d’un pensiero noioso, mi metterá in mille molto
maggiori e di piú noia? Certo niuna altra cosa, se non che per
giunta del male che m’avrá fatto, mi fará disiderare di tornare in
quello, onde m’ha tratto; il che assai spesso veggiamo addivenire a’
piú, li quali o per uscire o per essere tratti d’alcune fatiche,
ciecamente o s’ammogliano o sono da altrui ammogliati; né prima
s’avveggiono, d’uno viluppo usciti, essere intrati in mille, che la
pruova, sanza potere, pentendosi, indietro tornare, n’ha data
esperienza. Dierono gli parenti e gli amici moglie a Dante, perché
le lagrime cessassero di Beatrice. Non so se per questo, comeché le
lagrime passassero, anzi forse eran passate, sí passò l’amorosa
fiamma; ché nol credo; ma, conceduto che si spegnesse, nuove cose e
assai poterono piú faticose sopravvenire. Egli, usato di vegghiare
ne’ santi studi, quante volte a grado gli era, cogl’imperadori, co’
re e con qualunque altri altissimi prencipi ragionava, disputava co’
filosofi, e co’ piacevolissimi poeti si dilettava, e l’altrui angosce
ascoltando, mitigava le sue. Ora, quanto alla nuova donna piace, è
con costoro, e quel tempo, ch’ella vuole tolto da cosí celebre
compagnia, gli conviene ascoltare i femminili ragionamenti, e quegli,
se non vuol
crescer la noia, contra
il suo piacere non solamente acconsentir, ma lodare. Egli, costumato,
quante volte la volgar turba gli rincresceva, di ritrarsi in alcuna
solitaria parte e, quivi speculando, vedere quale spirito muove il
cielo, onde venga la vita agli animali che sono in terra, quali sieno
le cagioni delle cose, o premeditare alcune invenzioni peregrine o
alcune cose comporre, le quali appo li futuri facessero lui morto
viver per fama; ora non solamente dalle contemplazioni dolci è tolto
quante volte voglia ne viene alla nuova donna, ma gli conviene essere
accompagnato di compagnia male a cosí fatte cose disposta. Egli,
usato liberamente di ridere, di piagnere, di cantare o di sospirare,
secondo che le passioni dolci e amare il pungevano, ora o non osa, o
gli conviene non che delle maggiori cose, ma d’ogni picciol sospiro
rendere alla donna ragione, mostrando che ‘l mosse, donde venne e
dove andò; la letizia cagione dell’altrui amore, la tristizia esser
del suo odio estimando.
Oh fatica inestimabile,
avere con cosí sospettoso animale a vivere, a conversare, e
ultimamente a invecchiare o a morire! Io voglio lasciare stare la
sollecitudine nuova e gravissima, la quale si conviene avere a’ non
usati (e massimamente nella nostra cittá), cioè onde vengano i
vestimenti, gli ornamenti e le camere piene di superflue dilicatezze,
le quali le donne si fanno a credere essere al ben vivere opportune;
onde vengano li servi, le serve, le nutrici, le cameriere; onde
vengano i conviti, i doni, i presenti che fare si convengono a’
parenti delle novelle spose, a quegli che vogliono che esse credano
da loro essere amate; e appresso queste, altre cose assai prima non
conosciute da’ liberi uomini; e venire a cose che fuggir non si
possono. Chi dubita che della sua donna, che ella sia bella o non
bella, non caggia il giudicio nel vulgo? Se bella fia reputata, chi
dubita che essa subitamente non abbia molti amadori, de’ quali alcuno
con la sua bellezza, altri con la sua nobiltá, e tale con
maravigliose lusinghe, e chi con doni, e quale con piacevolezza
infestissimamente combatterá il non stabile animo? E quel, che molti
disiderano, malagevolmente da alcuno si difende. E alla pudicizia
delle donne non bisogna d’essere presa piú che una volta, a fare sé
infame e i mariti dolorosi in perpetuo. Se per isciagura di chi a
casa la si mena, fia sozza, assai aperto veggiamo le bellissime
spesse volte e tosto rincrescere; che dunque dell’altre possiamo
pensare, se non che, non che esse, ma ancora ogni luogo nel quale
esse sieno credute trovare da coloro, a’ quali sempre le conviene
aver per loro, è avuto in odio? Onde le loro ire nascono, né alcuna
fiera è piú né tanto crudele quanto la femmina adirata, né può
viver sicuro di sé, chi sé commette ad alcuna, alla quale paia con
ragione esser crucciata; che pare a tutte.
Che dirò de’ loro
costumi? Se io vorrò mostrare come e quanto essi sieno tutti
contrari alla pace e al riposo degli uomini, io tirerò in troppo
lungo sermone il mio ragionare; e però uno solo, quasi a tutte
generale, basti averne detto. Esse immaginano il bene operare ogni
menomo servo ritener nella casa, e il contrario fargli cacciare; per
che estimano, se ben fanno, non altra sorte esser la lor che d’un
servo: per che allora par solamente loro esser donne, quando, male
adoperando, non vengono al fine che’ fanti fanno. Perché voglio io
andare dimostrando particularmente quello che gli piú sanno? Io
giudico che sia meglio il tacersi che dispiacere, parlando, alle
vaghe donne. Chi non sa che tutte l’altre cose si pruovano, prima che
colui, di cui debbono esser, comperate, le prenda, se non la moglie,
accioché prima non dispiaccia che sia menata? A ciascuno che la
prende, la conviene avere non tale quale egli la vorrebbe, ma quale
la fortuna gliele concede. E se le cose che di sopra son dette son
vere (che il sa chi provate l’ha), possiamo pensare quanti dolori
nascondano le camere, li quali di fuori, da chi non ha occhi la cui
perspicacitá trapassi le mura sono reputati diletti. Certo io non
affermo queste cose a Dante essere avvenute, ché nol so; comeché
vero sia che, o simili cose a queste, o altre che ne fosser cagione,
egli, una volta da lei partitosi, che per consolazione de’ suoi
affanni gli era stata data, mai né dove ella fosse volle venire, né
sofferse che lá dove egli fosse ella venisse giammai; con tutto che
di piú figliuoli egli insieme con lei fosse parente. Né creda
alcuno che io per le su dette cose voglia conchiudere gli uomini non
dover tôrre moglie; anzi il lodo molto, ma non a ciascuno. Lascino i
filosofanti lo sposarsi a’ ricchi stolti, a’ signori e a’ lavoratori,
e essi con la filosofia si dilettino, molto migliore sposa che alcuna
altra.